Compagnia Unicorno presenta: LA NEMICA di Dario Ni
- Nicola Pannocchi
- 26 ott 2015
- Tempo di lettura: 3 min
. Siamo in un castello con tanto di maggiordomo, duchi e contesse e monsignori, negli anni della prima guerra mondiale, in Francia, nei dintorni di Parigi (ma potremmo essere dovunque...). Siamo in una famiglia composta da una mamma duchessa rimasta vedova da giovane, e due figli maschi, poco più che ventenni, duca il primo, Roberto, senza titolo il secondo, Gastone, perché, appunto, secondogenito. Roberto, il primogenito, è oltremodo affascinante e amabile. Piace a tutti. È il beniamino delle donne, dei parenti, degli amici, anche del fratello, che per lui stravede. Ma da qualche tempo la madre duchessa è con lui fredda e ostile. È lui stesso che lo dichiara, parlando col fratello: "sì, mamma è diventata la nemica per me, la nemica della mia vita, della mia felicità, del mio avvenire... perché?... lo sai tu... il perché di questo brusco cambiamento di mamma a mio riguardo...?" (I, 5). Roberto ne soffre orribilmente, anche perché lui, la mamma, l'adora: "l'amo, come un'artista deve amare un capolavoro, vedo in mamma il capolavoro della donna, la donna nella sua più bella espressione... sono tanto fiero di lei che non vorrei esser nato se non fossi nato da lei..." (I, 5). Il nucleo drammatico è tutto nella ricerca e nella scoperta di questo perché, con dapprima una falsa soluzione e poi quella vera. La falsa soluzione arriva da una ragazza innamorata di Roberto e da lui respinta. La ragazza, figlia del notaio che custodisce i segreti della famiglia, ferita nel suo amor proprio, spara in faccia al giovane una sua verità: "vostra madre vi odia perché voi, bastardo riconosciuto e legittimato dalla generosità del duca, usurpate titoli, onori, ricchezze all'altro, Gastone, al minore legittimo...". Roberto in sostanza sarebbe il figlio d'una colpa materna. E perciò la madre lo odierebbe. Al che Roberto non si perde d'animo, si sente anzi ancor più attratto dalla madre e le offre e le chiede sempre più affetto: "...questa rivelazione rende così naturale, così giusta l'adorazione istintiva che ho per voi... purché non mi consideriate soltanto come una colpa della vostra vita..." (II, 7). Ma la madre respinge ogni approccio affettivo del figlio e finalmente rivela la sua verità, che è antitetica: "ti hanno detto una menzogna che m'insudicia... ti dico una verità che mi redime...". In sostanza Roberto è sì figlio della colpa, bastardo, ma non suo, bensì del duca padre e marito, che lo aveva avuto da non si sa quale donna, prima del matrimonio, e aveva con l'amore ottenuto dalla moglie che lei lo accettasse quale figlio legittimo. Dopo la morte del marito la duchessa aveva allevato i figli amandoli entrambi, anche quello non suo, "fino al giorno della tua maggiore età che venne come una scadenza terribile, una scadenza di punizione, che mi fece capire tutto il male che per te, lo sconosciuto del mio corpo, l'intruso della mia vita, avevo fatto a mio figlio, al solo, al vero...! Era un'usurpazione di beni e di onori che avevo decretato contro di lui anche prima che nascesse..." (II, 7). Come finisce il drammone? Abbiamo detto che c'è la guerra: entrambi i ragazzi partono per il fronte e la madre trepidante ogni giorno aspetta angosciata bollettini e notizie. Che immancabilmente arrivano nell'ultima scena con una lettera niente meno che dal ministro della guerra (noblesse oblige!) che si conclude con "...il mio più rispettoso rimpianto per la gloriosa morte di suo figlio!". Al che la duchessa urla ("con un urlo irresistibile", dice la didascalia): "Quale?"... Il finale vede riconciliati Roberto, che sopravvissuto al fratello minore torna dal fronte in licenza, e la madre-matrigna, che recita il mea culpa e chiede al figliastro di dirle "una parola che aspetta da lui come un perdono": la parola "mamma", su cui cala il sipario. Drammone d'altri tempi (Eduardo De Filippo ne trarrà spunto, lo rovescerà e lo rammodernerà, in Filumena Marturano) che oggi può essere letto, o veduto in scena, solo come testimonianza di ciò che è stato il teatro "commerciale" dei primi del Novecento. L'ultimo, forse per sempre, teatro commerciale, perché rimpiazzato dal cinema prima e dalla televisione poi, che di spettacoli commerciali inonderanno il secolo ventesimo. Niccodemi (1874-1934) fu uomo di spettacolo, non di lettere e men che meno di poesia: se vivesse oggi sarebbe un duttile sceneggiatore di telefilm. Come ogni suo lavoro La nemica è un dramma costruito a tavolino con l'abilità dell'artigiano. E tra un artigiano e un artista c'è di mezzo quella differenza, abissale però, che è più facile sentire che spiegare. Differenza che si sente con immediata facilità leggendolo, il dramma. Se visto invece in scena, con una regia di buon livello, come quella di questi giorni di Mario Missiroli al Piccolo Teatro di Milano (marzo 2003) ecco che i limiti del testo, totale mancanza di ispirazione e di poesia, manierismo e mestiere, possono essere ben dissimulati, così ben dissimulati da strappare, nel finale, anche una immeritata commozione.Champoluc, 22/3/03

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